A cura di Antonino Galloni e Carlo Ranucci
Il Governo Draghi è uscito di scena e si va al rinnovo del Parlamento e alla formazione di un nuovo esecutivo in una situazione di grave incertezza. La figura carismatica che avrebbe dovuto condurre il Paese verso una sicura ripresa, sia pur limitata al profilo economico e quindi purtroppo riduttiva rispetto alle reali esigenze della società, ha lasciato il Paese in una situazione non facile. I fatti e non le parole stanno purtroppo lì a testimoniarlo.
E per vero nel giro di poco più di un anno, i principali indici macroeconomici hanno virato tutti in negativo: incremento del debito, spread in forte risalita, interessi sul debito più che raddoppiati, PIL inferiore alle previsioni, inflazione in ascesa, maggiore precarietà sociale ecc.
Il Premier scelto fuori dal Parlamento con l’avallo di tutti i principali partiti, eccetto Fratelli d’Italia, quale garante dell’attuazione delle misure propedeutiche all’elargizione degli ingenti aiuti finanziari in transito dalla UE ma di fatto provenienti dai mercati d’oltreoceano, e dunque a debito, ha lasciato una serie di vuoti da colmare e di problemi che il nuovo Governo dovrà sanare. Di qui la delicatezza delle nuove elezioni e della scelta che l’elettorato dovrà fare.
E’ infatti ormai chiaro che il flusso di finanziamenti in nostro favore necessita di una garanzia legata al legittimo diritto della Nazione piuttosto che al prestigio, per quanto autorevole, di una persona. Al diritto cioè di veder cancellato quel debito al termine della situazione di straordinarie difficoltà quale era quella nella quale l’Italia si è trovata.
L’economia del debito non è più sostenibile come avvenuto fino a qualche decennio fa: bisogna prendere coscienza di questo importante cambio di paradigma. Si rende quindi necessaria, almeno, l’immissione di un po’ di moneta dello Stato non a debito senza il quale è impossibile evitare il disastro.
Aggravando la già instabile situazione dei conti, il premier incaricato dal Presidente della Repubblica si è mosso in politica estera con spavalda sicurezza optando immediatamente, con l’assenso del Parlamento, a favore delle linee interveniste in sintonia del Gruppo dei Paesi Membri UE che sostengono la politica USA/NATO. Questa come noto prevede l’invio delle armi all’Ucraina e l’imposizione di sanzioni economico-finanziarie alla Russia, risultando particolarmente penalizzante per l’Italia che importa dalla Russia buona parte delle sue risorse energetiche. Ma dietro la forte posizione assunta in nome della libertà mai così strenuamente difesa, il Governo uscente ha finito per lasciare in secondo piano, alcuni particolari non certo secondari, caratteristici della nostra identità socio economica.
L’Italia, come noto, presenta il debito pubblico tra i più alti al mondo. Debito che dovrà essere rimborsato alle sue scadenze, ma che esige di non essere ulteriormente incrementato: proprio per questo i nuovi investimenti dovranno venire effettuati in moneta non a debito dello Stato. Non si può permettere di incrementarne il livello del debito se non pagando un prezzo altissimo in termini di interessi e di immagine, quindi di bilancio e di credito. A questo deve dolorosamente aggiungersi che siamo dipendenti dall’estero in quanto a risorse energetiche e a materie prime: un paese di riconversione, di trasformazione, può riuscire nell’ardua impresa di pareggiare i conti solo quando riorienti il proprio sguardo politico complessivo sugli interessi strategici del Paese stesso: vale a dire quelli che ci mettano in condizioni di rispetto e collaborazione almeno col mediterraneo, il Nord Africa e i Balcani.
Appare quindi di tutta evidenza che il primo problema da risolvere tra i tanti oggi sul tappeto c’è ne è uno che è primario e di fondo: ricostruire la nostra struttura economico finanziaria, rendendola il più possibile autonoma e indipendente da terzi in modo che possa camminare in modo autosufficiente e dunque pronta a fronteggiare crisi di ogni specie che le nubi che si stagliano nell’orizzonte internazionale non rendono certo peregrine.
L’impresa appare ardita. Una sfida purtuttavia da accettare e vincere. Si parte infatti da una situazione economica sociale di apparente “stabilità”. Apparente perché fondata sui debiti in costante crescita e caratterizzata da accentuata dipendenza esterna. Una situazione considerata insostenibile da quegli esperti, non molti per la verità, di cose economiche che sappiano leggere in profondità la realtà senza rimanere alla superficie. Ed invece percepita come rassicurante da buona parte dell’opinione pubblica colpevolmente disinformata e distratta dai principali mezzi della comunicazione allineata main stream. Noi invece siamo molto preoccupati e pensiamo seriamente che se non si interviene in profondità e con un impietoso bisturi sul tessuto connettivo della nostra economia sarà inevitabile un ineluttabile e tragico tracollo.
Si dovrà lavorare necessariamente su più fronti in contemporanea per mantenere la coesione nel corpo sociale e riacquistare la fiducia dei cittadini. Occorrerà quindi da una parte, con idonee misure, ridestare il senso del dovere del singolo e la consapevolezza circa il reale stato delle cose e dall’altra iniziare una opera di completa ricostruzione della struttura socioeconomica nazionale il cui processo disintegrativo iniziò dagli anni 90 con la vituperata “svendita” all’estero – la chiamarono privatizzazione – dei nostri gioielli nazionali di cui uno dei principali assertori di tale politica fu proprio il dimissionario premier.
Ricostruire una economia mista pubblica privata cementata da un forte senso etico della valenza degli interessi pubblici e del valore del lavoro e dell’ingegno del privato, sarà uno dei principali impegni da assumere da parte del nuovo esecutivo.
Al primo posto in agenda si colloca allora la difesa ed il rafforzamento delle forze imprenditoriali e industriali che dovranno essere capaci di trainare d’ora in avanti in autonomia l’economia del Paese facendo leva non più prioritariamente sui debiti ma soprattutto sul recupero della propria capacità ingegneristica e sul senso di laboriosità che sono loro da sempre ampiamente riconosciuti.
Si reputa quindi necessario approntare una moderna rete di imprese dalle dimensioni calibrate alla nostra cultura che sappia contrapporsi in qualità e sostenibilità allo strapotere delle multinazionali e che sappia soddisfare le richieste di collocamento provenienti dalla cittadinanza, di ogni livello culturale e professionale. Le grandi imprese figlie della oligarchia globalizzata andranno poste sotto stretta sorveglianza circa il rispetto delle regole generali vigenti.
Sarà inevitabile quindi puntare all’incremento della produttività del lavoro e del capitale, operando un riequilibrio tra pubblico e privato in termini di diritti e doveri, di apporti e di benefici. I livelli di spesa andranno gestiti con oculatezza, tenendo sempre sotto controllo gli effetti sul debito pubblico che dovrà riportarsi sul virtuoso percorso di graduale rientro. Sarà decisivo il recupero al lavoro delle forze rimaste sinora inoccupate, soprattutto i giovani per strapparli da uno stato di avvilente torpore e di crescente disagio sociale. Gli aiuti assistenziali devono essere estremamente mirati ed ancorati a sicure mappature reddituali. I criteri pubblici di distribuzione della ricchezza vanno evidentemente rivisti in stretto rapporto con le esigenze sociali, anche in senso geografico, al fine di invertire la drammatica tendenza al crescente divario divenuto insostenibile tra pochi abbienti e molti non abbienti.
Nel quadro sin qui delineato di natura economica finanziaria si inseriscono, con la primaria importanza che hanno assunto sinora, i rapporti con la Ue e con l’eurozona. Essi sono di grande attualità in quanto legati al PNRR ideato per sovvenire alle necessità innescate dalla crisi pandemica circa il quale si attende ansiosamente di riscuoterne gli aiuti monetari. Una parte di essi ci viene data come restituzione del credito maturato negli anni dal nostro Paese mentre la gran parte verrebbe elargita sotto forma di debito da restituire e a determinate condizioni.
In presenza delle procedure ormai avviate è assai probabile che buona parte dei finanziamenti previsti arrivino a destinazione, motivo per il quale è anche assai probabile e che il nostro debito pubblico salga ulteriormente. Tuttavia la liquidità così immessa nel sistema economico sarà più opportuno considerarla semplicemente come aiuto straordinario e contingente, finalizzato non solo al lancio di nuovi investimenti ma soprattutto a liberare risorse di bilancio atte a sanare le difficoltà sociali evidenziatesi più di recente a seguito della guerra. Per il futuro si dovranno invece prospettare nuovi scenari puntando sulle forze e sulle capacità autoctone.
Infatti, molti elementi nuovi sono emersi in questi ultimi tempi che hanno messo a nudo l’effettiva forza economica della UE e la sua capacità a far fronte alle diverse esigenze contingenti. In base a tali novità è da valutare attentamente l’attuale ancoraggio alla sola moneta dell’euro e ai criteri di politica comune che hanno favorito alcune grandi economie, penalizzando fortemente la produzione nazionale. Appare quindi doveroso riflettere sul futuro dei rapporti stessi che dovranno essere attentamente riconsiderati al precipuo fine di consentire a ciascun Paese, e non solo quindi al nostro, di difendere il legittimo diritto ad una sana e autonoma gestione ispirata a principi, valori e criteri che fanno parte del bagaglio identitario e indisponibile di ciascun popolo. E questo non è certo sovranismo ma solo semplice prudenza. Alla luce di tali considerazioni, la questione deve rimanere aperta ad ogni soluzione.
A tutto ciò occorre iniziare a mettere mano a partire sin dal prossimo 26 settembre, giorno dal quale deve necessariamente aprirsi un nuovo capitolo della nostra storia che sia reale capacità di costruire il futuro grazie all’ingegno e alle mani dell’uomo.